Da giorni Venezia è invasa dall’acqua alta per via delle emergenze climatiche. Il disagio ambientale porta allo scenario di una situazione critica, con negozi, scuole e banche chiusi, e con i servizi di navigazione dell’Actv sospesi.  La paura di poter raggiungere i livelli del fenomeno “L’Acqua Granda” del 1966, con punte di 192 centimetri, si fa sempre più viva.

Un enorme patrimonio artistico in pericolo
Nello specifico, oggi ci concentriamo sulle ripercussioni che si hanno sul patrimonio culturale della città.
Il 70% del centro storico è allagato e l’immersione di mattoni e marmi nell’acqua salata erode gradualmente il tessuto dell’intera città, in particolare i numerosi mosaici che decorano la Basilica di San Marco e altri monumenti della città.
Numerose le chiese sommerse: nella Basilica di San Marco sommersi la cripta e il nartece da circa 70 centimetri di acqua; la chiesa barocca di San Moisè, subito dietro piazza San Marco.
La rete musei è chiusa; l’acqua alta ha anche colpito il Teatro La Fenice, posto in un palazzo settecentesco, la storica libreria Acqua Alta e il murale del bambino profugo realizzato da Banksy lo scorso maggio, l’Università Ca’ Foscari, che ha annullato cerimonie di consegna dei diplomi a causa di danneggiamenti e mancanza di elettricità.  
Problemi anche a Ca’ Pesaro (Galleria Internazionale d’Arte Moderna) dove per un guasto all’impianto elettrico è scoppiato un incendio. La Fondazione Querini Stampalia si ritrova un patrimonio librario fortemente danneggiato.


Ci si può rialzare dal fondo?
«Fondamentalmente siamo incapaci di proteggerci», ha dichiarato l’ingegnere Pierpaolo Campostrini, uno dei procuratori della basilica di San Marco.

A peggiorare il tutto non è solo il disagio climatico, ma la negligenza umana. Da decenni il Mose (Modulo Sperimentale Elettromeccanico), che dovrebbe proteggere la città dall’innalzarsi della marea e perciò da una possibile inondazione, è in fase di realizzazione: 5 miliardi e mezzo di euro spesi, ma lavori mai completati.

Per salvaguardarci dal tragico fenomeno dovremmo rivolgere l’occhio ai Paesi esteri che stanno sempre qualche passo davanti a noi e dai quali possiamo solo imparare, focalizzando la nostra attenzione principalmente sull’Olanda: da anni qui, ad Amsterdam soprattutto, è stata costruita una rete di canali che ha il compito di proteggere la città, fungere da trasporto, raccogliere l’acqua in eccesso per drenarla, o destinarla all’irrigazione e alla costruzione di fontane.

La risposta del FAI
Presso Casa Bortoli a Venezia, si è riunito il Consiglio d’Amministrazione straordinario del FAI - Fondo Ambiente Italiano. Una prima analisi è stata fatta sulla città: Venezia non ha mura difensive, le acque che la circondano sono a sua difesa.  Nel corso della storia Venezia ha dedicato la massima cura alla conservazione della Laguna, ma negli ultimi sessant’anni, al contrario, la Laguna è stata ignorata, devastata, abusata.
Inoltre, il riscaldamento globale è la causa ormai dimostrata di eventi meteorologici violenti e imprevedibili. Secondo studi internazionali l’intero Delta del Po è a rischio di allagamento entro il 2100: a Rovigo, Chioggia, Comacchio, Ravenna e Jesolo potrebbe toccare la stessa sorte di Venezia. L’aumento del livello del mare atteso per quella data modificherà irreversibilmente la morfologia attuale del territorio italiano.
Su come, forse, si potrebbe ancora salvare Venezia, le riflessioni del FAI sono tre:
1.    Serve una rivoluzione del punto di vista: salvare Venezia presuppone salvare la Laguna.
2.   Serve un diverso modello di sviluppo, perché quello finora imposto alla città si è rivelato fallimentare, obsoleto e dannosissimo. Il nuovo modello di sviluppo deve essere sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale, culturale ed economico, e fare leva sulle caratteristiche identitarie, naturali e storiche, della città e della sua Laguna, che non hanno confronti.
3.   Accogliendo il grido di dolore che giunge da Venezia, serve con efficacia e tempestività una gestione congiunta della Laguna, che garantisca la salute della stessa e la salvezza della città.

Curiosità: il disastro spiegato dai dipinti del Canaletto
La storiografia dell’acqua alta risale al VI secolo, e si hanno tracce anche dell’inondazione di due secoli dopo, e nel 1873 è stato inventato il mareografo che registra il livello delle acque lagunari.


Ma da circa vent’anni l’acqua alta veneziana viene studiata anche attraverso i dipinti di Giovanni Antonio Canal (conosciuto come Canaletto) che dipingeva utilizzando la camera ottica:  riprodurre fedelmente la realtà attraverso l’osservazione di essa in accordo con la cultura illuminista.

Proprio attraverso i dettagli legati alla realtà, un occhio attento riesce a distinguere in ogni quadro tracce del livello del mare di quel momento a Venezia. Risulta incredibile il fatto di poter studiare un fenomeno della realtà attraverso un percorso artistico, e ancora più sorprendente è la capacità di un artista di essere talmente fedele alla realtà.