In onore della Giornata Mondiale contro la Violenza sulle Donne, vi proponiamo un racconto scritto da Simone Lo Monaco, Le otto e zero zero, in gara alla scorsa edizione del concorso Damarete.

Drin. Drin. Suona la sveglia. Apro gli occhi. Sono le 8.00. Non mi è mai piaciuto il numero 8. Beh, in realtà non mi è mai piaciuto perché assomiglia al simbolo dell’infinito. Quando andavo a scuola molte delle mie compagne avevano tatuato quel simbolo, ma a me non è mai piaciuto, l’infinito. Non mi piaceva proprio l’idea di dover scegliere qualcosa e non poter più cambiare; ma soprattutto pensare che qualcosa potesse durare per sempre, non ci ho mai creduto. Almeno, non ci avevo creduto fino a quando conobbi Andrea. Con lui fu amore a prima vista: ci conoscemmo durante il mio primo anno di università, siamo stati fidanzati per 5 anni e poi mi chiese di sposarlo. Lui era bello, affascinante, premuroso, gentile. Chissà perché adesso non lo è più. Negli ultimi anni è cambiato, non mi guarda più come prima, con quello sguardo che una volta mi faceva sentire al sicuro. E’ cambiato, ma non so perché.

 8.15. Provo a girarmi, ma a fatica per il braccio e il fianco un po’ doloranti. Lo cerco con la mano, ma sento solo freddo, quel freddo che si posa sulle coperte non riscaldate da un corpo. Nessun sussulto però, sono abituata a quella temperatura, sento il freddo dentro di me. Sento il rumore dell’acqua che esce dalla doccia: è Andrea, si sta preparando per andare a lavoro. Ricordo ancora le mattine dei primi anni di matrimonio: Andrea si alzava sempre prima di me, si lavava, si vestiva e mi preparava la colazione, me la portava a letto e mi dava un bacio inondandomi del suo profumo che mi inebriava la testa. “Vado a lavoro amore, a stasera”, e andava via. Adesso non lo fa più, si alza ancora prima di me, ma dopo essersi preparato va via senza neanche salutarmi. Chissà perché fa così adesso.

8.30. Andrea è già uscito di casa. Provo a girarmi tutta dall’altra parte del letto, ma una roba appiccicaticcia mi frena leggermente: è il sangue dei graffi misto alle lacrime versate durante la notte. Girandomi, vedo la porta della cameretta di mia figlia. Si chiama Anna, ha 16 anni ed è bellissima. E’ nell’età adolescenziale, sta crescendo, e diventa ogni giorno più grande, più intelligente. La porta è chiusa, si sta preparando per andare a scuola. Ma non è chiusa per questo: prima dormiva sempre con la porta aperta, ma adesso la chiude ogni notte. Andrea mi dice che vuole la sua privacy, ma io so che lo fa perché non sopporta sentire le urla di suo padre contro me, non sopporta sentire me che piango, e non vuole nemmeno far sentire il suo, di pianto.

8.40 Anche Anna è uscita, l’è venuta a prendere una sua amica per andare a scuola. Mi alzo. Vado al bagno. Mi guardo allo specchio. Odio farlo. Non mi piaccio. E quell’occhio nero non migliora la visione che ho di me. Mi lavo ed esco dal bagno, la casa sembra così vuota, ma come quel freddo nel letto, così questo vuoto non mi suscita niente. Abitudine. Mentre mi vesto, vedo su un tavolino quella foto: ci siamo io, Andrea, Luca, Marco e Giulia. Io e Andrea avevamo tanti amici prima, ci piaceva uscire con loro. Poi Andrea ha iniziato ad essere geloso: prima insinuava che guardassi gli altri maschi, poi diceva che le mie amiche erano una pessima compagnia, che insieme a loro diventavo anch’io una persona orrenda, che non dovevo frequentarle. Non mi sono mai opposta a ciò che diceva, sosteneva che lo dicesse per me, e lui si era sempre preso cura di me, quindi gli credevo. Adesso io e Andrea siamo sempre soli. Ma i miei amici sono sempre con me: ogni amico maschio adesso è un segno sulla mia pelle, ogni serata con le amiche è uno schiaffo ricevuto. Chissà perché Andrea fa così, ma inizio a credere che il perché non sia più così importante.

Sono pronta per uscire. Guardo di nuovo la sveglia, sono le 9.00. Esco di casa, il sole del mattino mi acceca un po’. Dovrei andare a destra, verso l’ufficio. Ma oggi no. Oggi non vado a lavoro. Oggi voglio togliermi quel maledetto otto rovesciato che mi porto sulle spalle. Oggi non mi importa più sapere perché Andrea adesso si comporta così, mi interessa sapere che domani, e nei giorni a venire, non gli consentirò più di farlo.

L’infinito è solo un concetto astratto. Puoi sempre cambiare.

Simone Lo Monaco